Intervista Spoilercast Ghost of Yōtei: il finale del gioco, il design dell’open world, Takezo l’imbattibile e molto altro

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Intervista Spoilercast Ghost of Yōtei: il finale del gioco, il design dell’open world, Takezo l’imbattibile e molto altro

Una chiacchierata piena di spoiler con Sucker Punch sul design del gioco e sulle scelte legate alla storia, e sui segreti sparsi per il mondo.

Da dove iniziamo? È un mantra familiare per tutti noi che abbiamo vagato per i ricchi paesaggi di Ezo in Ghost of Yōtei. Avendo alle spalle una casa ritrovata e davanti un mondo pieno di vendetta, miti e segreti, questa domanda si rivela come un meraviglioso dilemma. Ad ogni angolo esplorato, ad ogni storia raccontata e duello vinto sorgono sempre più domande, ma una torna in modo ricorrente: come si è arrivati a tutto questo? Per rispondere, abbiamo contattato due persone che possono svelare al meglio i segreti di Ezo: i direttori creativi del gioco Jason Connel e Nate Fox. 

Una volta qui con loro e con un intero gioco di cui parlare, è sorta la ormai familiare domanda: da dove iniziamo? La risposta è semplice, iniziamo dalla fine. 

Un piccolo avvertimento, questa intervista si addentra in territori pieni di spoiler. Prima, eliminate ogni membro dei Sei di Yōtei dalla lista e scoprite ogni angolo nascosto di Ezo. Questa chiacchierata tratterà delle scelte di progettazione del gioco, delle missioni secondarie fondamentali, del finale del gioco e molto altro.

Intervista Spoilercast Ghost of Yōtei: il finale del gioco, il design dell’open world, Takezo l’imbattibile e molto altro

Spoiler da qui in avanti

Nota: Questa versione dell’intervista è riassunta a favore di chiarezza e brevità. L’intera conversazione sarà disponibile su PlayStation Podcast più tardi nella giornata di oggi. 

PlayStation Blog: Il duello finale del gioco è contro Lord Saito. Tutto dà l’impressione che ogni cosa conduca a questo momento, non solo per Atsu, ma anche per i giocatori, soprattutto perché Saito in un singolo duello ti sottopone ogni sfida che hai imparato ad affrontare nel corso dell’avventura. Potete dirci qualcosa su come avete approciato le meccaniche di questa lotta?

Jason Connell: Volevamo fare in modo che il finale fosse un momento emotivo in grado di mettere insieme tutto il suo viaggio nel superamento del trauma. Che permettesse di comprendere che c’è sempre qualcosa di meglio per cui vivere, e allo stesso tempo onorare il modo in cui chi gioca, grazie ai suoi sforzi, ha migliorato Atsu, rendendola più abile. E in Ghost of Yōtei, questo riguarda l’essere in grado di padroneggiare le armi diventando più sicuri di sé e più abili. Per questo Saito attaccherà con ogni arma che i giocatori dovranno contrastare con altre armi che hanno imparato a usare nel corso di tutta l’avventura. È un’occasione per onorare la padronanza e comprendere come sfruttarla per contrattaccare. Alla fine, nell’ultima lotta, dove si scontrano katana contro katana, si fa ritorno alla semplice spada forgiata dal padre in onore dei suoi due figli, e quella sarà l’arma con cui verrà concluso il duello. 

La storia della Lama della Tempesta. È una storia affascinante che rivela il destino di Jin Sakai. Potete dirci qualcosa su come vi siete approcciati alla creazione di questa missione? C’era una sorta di preoccupazione nel parlare del protagonista del titolo precedente in Ghost of Yōtei, o nel confermare una fine relativamente triste per un personaggio così tanto amato?

Nate Fox: Dopo uno o due anni di produzione, avevamo un’idea di come e dove potevamo onorare quel personaggio. Abbiamo sempre saputo che sarebbe successo. Ma quando abbiamo iniziato a decidere dove posizionarlo nel mondo, abbiamo trovato questo luogo magnifico che ci ha dato la sensazione che sarebbe potuto essere il suo posto e che potevamo onorare ogni suo aspetto, sia che fosse l’albero, la pampa, l’eulalia o la spada. Cose facilmente identificabili con la sua storia e la sua eredità e creare un santuario o una missione per lui. 

Volevamo che fosse nel posto giusto. Ad esempio metterlo subito all’inizio, oltre una porta subito sulla destra, non sembrava la cosa giusta da fare. Non ci sembrava adeguato. Ma metterlo nel luogo appropriato, che sarebbe stato trovato solo dopo aver ottenuto un po’ di esperienza con questo gioco e compreso cosa questo gioco rappresenta, lo ha reso una perla, soprattutto se si è fan del titolo precedente. Per questo trovare anche il momento giusto è stato molto importante.

È sempre stata vostra intenzione quella di rendere lo scontro con Takezo l’imbattibile quello più ostico del gioco? O non lo ritenete lo scontro più ostico del gioco? Sono curioso di sapere se nello studio sono riusciti a batterlo in modalità Letale e quanto ci avete messo a farlo. 

Jason Connell: All’inizio della progettazione, Takezo non era stato previsto da nessuno. È stata un’ottima idea, venuta a uno di coloro che sono incaricati di creare le missioni, quella di far diventare Takezo una sorta di battaglia definitiva affrontata da Atsu alla fine del suo viaggio. E non potrei essere più felice del fatto che rappresenti proprio questo, la sfida più ostica di tutto il gioco. Che si svolge nel luogo più epico. Il nostro team dei combattimenti lo aveva impostato a un livello tale che molti di noi lo ritenevano impossibile, fino a quando non ho visto uno degli sviluppatori del gameplay batterlo senza sforzo e senza tutti gli upgrade. Ha detto di esserci riuscito al quarto tentativo. Però queste persone hanno giocato al titolo, programmandone i combattimenti, per anni! Quindi è questo che vi aspetta, se vi risulta difficile e pensate che sia impossibile. Il modo per migliorare è creare il gioco per molti anni e far parte del team dei combattimenti e poi, all’improvviso, sarà molto più facile.

Una volta superato lo scontro con la Serpe, il gioco è progettato per lasciare a chi gioca la scelta di quale dei Sei di Yōtei affrontare e in quale ordine. Questo può influire sullo stile di gioco, ad esempio il percorso della Kitsune amplia le opzioni furtive, o può portare a una connessione maggiore con il mondo di gioco, come ad esempio il percorso per l’Oni che porta a fare la conoscenza di Jubei. Come avete progettato il gioco per far convivere questi diversi stili di gioco che ne risultano?

Jason Connell: Quando abbiamo iniziato a fare questo gioco, quando eravamo solo io e Nate, sai, quando pensavamo a cosa sarebbe potuto essere, una cosa di cui abbiamo parlato è stato il concentrarsi su quello che vedevamo che i fan adorano in un mondo aperto, ovvero la libertà di fare tutto quello che vogliono. 

Quindi fin dal principio ci siamo posti questo come vero obiettivo. Abbiamo deciso di investire in progetti e tecnologie che ci permettessero di dare maggiore libertà fin dall’inizio. Questo ha le sue difficoltà, può rendere complesso narrare una storia solida che deve avere un inizio, una parte centrale e una conclusione. Per esempio, qualcuno dei nostri primi tentativi era troppo aperto. Come il poter affrontare uno qualsiasi dei Sei. In questo processo, Nate mi ha fatto notare quanto fosse complicato in questo modo avere un inizio, una parte centrale e una conclusione, e noi ne avevamo bisogno perché, raccontando la storia di Atsu, questa doveva essere la struttura.

Proprio all’inizio, ci si trova di fronte questo tipo di scelta. Non è solo una scelta narrativa. Le abbiamo dato più peso aggiungendo una scelta legata anche alle meccaniche. Se si preferisce il gioco di ruolo, se si preferisce un personaggio più furtivo o se si preferisce avere abilità tipiche dei ninja, allora forse, quest’area quassù può essere migliore. O forse ispira maggiormente quest’altra zona, dove si trova un tradizionale grande castello e delle straordinarie armi da fuoco e una lancia, sono indizi che lasciamo per aiutare nella scelta. Quindi se non è solo la storia a fornire la motivazione necessaria, o se invece è quell’accenno di narrazione che intriga, forse ad aiutare nella decisione ci penserà la meccanica, e questi sono solo alcuni dei modi che possono influenzare una decisione. 

Parlando rapidamente delle armi, le missioni dei Sensei indicano fin da subito quale arma permetteranno di sbloccare, invece le condizioni per sbloccare le armi da fuoco non sono così ovvie. Perché?

Jason Connell:  Sapevamo che le armi bianche fossero una grande fonte di soddisfazione per i giocatori. A loro è sempre piaciuto ottenerle. A loro è sempre piaciuto padroneggiarle e aggiungono molta varietà all’esperienza di ciascuno nel combattere contro i nemici. E il combattimento, la letale precisione presente nel gioco, è qualcosa che si trova al centro di tutta l’esperienza. 

Quindi, volevamo fare in modo che i giocatori sapessero della loro esistenza e che fosse abbastanza facile individuarle, perché sono una grande fonte di gioia nel gioco. Le armi a distanza non sono così centrali. Non volevamo che per le armi da fuoco fosse subito chiaro dove dirigersi in modo da lasciare il piacere della scoperta, al contrario delle armi da mischia che sono troppo importanti per permettere che qualcuno se le perda. Sono opzionali, quindi qualcuno potrebbe non ottenerle, ma non volevamo che la loro assenza fosse un problema. Volevamo lasciare a chi gioca la possibilità di decidere di utilizzarle o meno.

Sono presenti nel gioco degli incontri fantastici seppur piccoli, come il tizio che sparisce, con scarsi risultati, grazie alle bombe fumogene… o lo scontro con un ronin, se non sbaglio chiamato “ronin irritante” che provoca una rezione rabbiosa in Atsu una volta che lo ha sconfitto. Potreste dirci qualcosa su come vi sono venuti in mente? 

Nate Fox: All’inizio avevamo delle persone che lavoravano sulla storia principale e delle persone che davano vita al mondo. Alcune di queste apparizioni minori sono nate da domande come “Come si comporterebbero le persone in questo posto?” Sono nate dal bisogno di dare a un luogo un po’ di personalità in modo da renderlo intrigante e interessante al punto da voler stare a sentire cosa gli abitanti dovessero dire. Aggiungono colore a tutto il mondo. Cosa che, in tutta sincerità, non abbiamo avuto il tempo di fare nell’ultimo gioco. Quindi è stato bello essere in grado di provare queste sfumature fin dall’inzio. Il tizio delle bombe fumogene probabilmente è stato uno dei primi che abbiamo creato nel gioco. Abbiamo fatto varie versioni per renderlo quello che è oggi, ma forse erano i primi sei mesi del progetto. E sono felice quando qualcuno di questi riesce ad arrivare fino alla fine, perché molti non ci riescono [ride]. 

È un mondo bellissimo. Ci sono molti momenti in cui, diciamo, scalare una rupe, o svoltare su una strada porta a un paesaggio pittoresco degno di essere fotografato. Quanto è stato impegnativo fare in modo che questi attimi fossero perfetti? Implicava il fatto che il paesaggio circostante, per fare in modo che l’angolo di ripresa fosse quello perfetto, venisse continuamente rimodellato?

Nate Fox: Una delle sfide del creare un open world grande come questo e allo stesso tempo creare un gioco efficace e potente dal punto di vista artistico, in modo che coloro che vi entrano ne sentano l’imponenza… è davvero complicato. 

E il semplice fatto che non possiamo controllare dove i giocatori stiano guardando lo rende ancora più difficile, giusto? Noi non sappiamo dove state guardando. Non sappiamo cosa state facendo. C’è il tempo che scorre quando si è nel mondo aperto. Quindi non sappiamo se sia giorno o notte. Ovviamente in alcuni casi mettiamo dei luoghi dove esiste un momento speciale del giorno, come la missione dei Gigli ragno

Ma è una grande dimostrazione dell’abilità del team ambientale che è in grado di creare un ambiente a tal punto mozzafiato che non importa da che parte si guardi, o se sia giorno o notte, è sempre, sorprendentemente bello. Questa è una cosa molto difficile da fare. La progettazione estetica degli open world è incredibilmente complessa. Loro sanno che il giocatore nella scalata verso un santuario arriva passando da questa sporgenza. Il giocatore deve passare da quella sporgenza e loro posizionano le rocce e il santuario in modo da far sì che chi gioca guardando più o meno in quella direzione li veda come vogliono loro. Questa è una cosa che sicuramente fanno. E fanno un ottimo lavoro nel costruire qualcosa sulla base di ciò che loro pensano che il giocatore poi faccia. Ma poiché certe cose non le possiamo sapere, ci sono dei fattori che dobbiamo rendere nel modo migliore. Dobbiamo creare la giusta atmosfera. Dobbiamo creare la giusta luce. Dobbiamo dare i giusti colori. L’andatura del rumore visivo e quanto rumore visivo deve essere presente a schermo. Tutte queste cose fanno parte del DNA della progettazione estetica di un open world. E speriamo di potervi condurre in aree dove possiamo sfruttare questi aspetti e valorizzare questi momenti. Veramente poche persone del team riescono a contribuire esattamente a questo, e credo che facciano davvero un ottimo lavoro.

Se Ghost of Yōtei non vi è bastato, Nuova partita+ è disponibile come aggiornamento di gioco, e il DLC multigiocatore cooperativo Ghost of Yōtei Legends arriva nel 2026. 

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