La community PlayStation intervista il CEO & Founder di Quantic Dream

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La community PlayStation intervista il CEO & Founder di Quantic Dream

Trenta minuti con David Cage

Lo scorso 9 maggio, presso i nostri uffici di Sony PlayStation Italia a Roma, abbiamo avuto l’onore di ospitare David Cage, CEO & Founder di Quantic Dream, nonché mente geniale dietro l’ultima opera dello Studio d’oltralpe. Alcuni fortunati membri del forum ufficiale italiano PlayStation hanno avuto l’opportunità di porgergli qualche domanda e soddisfare le proprie curiosità. Scopriamo insieme i dettagli che il Creative Director ci ha svelato sullo sviluppo di Detroit: Become Human.

 PlayStation Community: Quantic Dream è praticamente sinonimo di narrazione. Tuttavia, mai come negli ultimi anni, molti sviluppatori si stanno muovendo in questa stessa direzione. Qual è la tua opinione circa il propagarsi delle cosiddette “avventure interattive”? Quanto ritieni le tue idee siano fonte di ispirazione?

David Cage: Credo che spetti più a loro rispondere, che non a me. Ho sempre pensato che l’interattività sia un mezzo fantastico per raccontare delle storie. Quando si guarda un film non puoi cambiarlo, ma quando giochi ad una storia interattiva puoi raccontarla da te, e dar vita ad un qualcosa basato su quelle che sono le tue scelte e  le tue decisioni. Credo che questo renda  i videogiochi un mezzo di comunicazione veramente unico ed è per questo che ne sono tanto affascinato. Sono davvero felice che storie ed esperienze interattive si stiano diffondendo sempre di più. Ciò non fa altro che dimostrare quanto esse rappresentino ormai  un vero e proprio genere videoludico. Detroit non è solo un gioco di Quantic Dream, è più di questo, ed il fatto che così tante persone siano entusiaste di questo genere non può che essere davvero positivo.

PSC: Heavy Rain, Beyond: Due Anime, il nuovissimo Detroit: Become Human, hanno tutti caratteristiche uniche, peculiarità da cui traggono i propri punti di forza e che, al tempo stesso, potrebbero rappresentare quasi degli ostacoli. Vi siete mai posti il dubbio che il genere da voi prediletto possa porre un freno alla vostra creatività?

DC: Diciamo entrambe le cose. Raccontare una buona storia lineare è una grande sfida. È  talmente complicato che nemmeno Hollywood, che lo fa da un secolo, riesce  a realizzare esclusivamente capolavori, questo perché non c’è una ricetta magica. Se raccontare una storia lineare è dunque già di per sé una grande sfida, raccontarne una interattiva si dimostra essere un ostacolo ancor più grande, poiché in questo caso l’intento non è quello di raccontare  un’unica storia, ma molte storie. È quindi necessaria una narrazione ramificata, con scelte, conseguenze e dilemmi, per far sì che il giocatore si immerga e si senta coinvolto. Ma cosa ancora più importante è necessario trovare un modo per rendere la storia giocabile, poiché  il nostro scopo non è mai stato quello di raccontare delle semplici storie da guardare. Abbiamo voluto creare storie da giocare e capire cosa c’è realmente da “giocare” in una storia è qualcosa di incredibilmente difficile. Ci è voluto un po’ di tempo per realizzare come funziona, per comprendere le basi, questo perché abbiamo avuto bisogno di inventare tutte le regole che ci siamo dati e ci è voluto del tempo per trovare il modo più consono per creare le storie migliori e più giocabili possibili. Penso che Detroit sia probabilmente la conseguenza di 20 anni di lavoro, esperimenti e tentativi su questo genere videoludico e sono convinto sia il compimento di ciò che abbiamo imparato in tutto questo tempo.

PSC: Come probabilmente saprai, questo mese Beyond: Due Anime fa parte della line up PS Plus. Quanto ritieni sia  maturata l’esperienza dello Studio da allora? Quali sono i tuoi sentimenti ripensando oggi a Beyond: Due Anime? C’è qualcosa che magari rimpiangi o che con il senno di poi faresti diversamente?

DC: Sono davvero felice che molte più persone avranno l’opportunità di provare Beyond: Due Anime. Per noi è un gioco davvero unico, è stata un’esperienza dalla quale abbiamo imparato molto, specialmente per quanto riguarda la scrittura. Lavorare con grandi talenti quali Ellen Page o  Willem Dafoe è stata una fantastica opportunità. Siamo molto contenti che faccia parte del PlayStation Plus questo mese, perché in questo modo più persone avranno la possibilità di giudicare in prima persona  il titolo. Penso che sia straordinario, poiché ci capita spesso di ricevere molti feedback positivi dagli stessi giocatori del tipo  “Non ho avuto modo di giocarlo all’uscita, ma dopo averlo provato sono davvero rimasto molto soddisfatto dall’esperienza di gioco”. Beyond: Due Anime ricopre un ruolo molto speciale nella mia carriera ed è davvero un gioco al quale mi sono legato molto per ragioni molto diverse fra loro. Probabilmente è stata la storia più personale che io abbia mai scritto e, in realtà, non riguardava semplicemente i poteri soprannaturali, ma si trattava di qualcosa di più intimo e per me è stato un vero piacere lavorarci.

PSC: Nell’ultimo decennio la tecnologia alla base della creazione dei videogiochi si è evoluta incredibilmente. Basti pensare allo sbalorditivo livello di fotorealismo raggiunto con Detroit: Become Human per averne un esempio. Quanto è mutato invece (se è mutato) il tuo approccio nella concretizzazione di un progetto? Quanto questa evoluzione ha condizionato anche te in questi anni?

DC: Sì, penso che la tecnologia continui ad evolversi sempre più velocemente. Non credo che abbiamo ancora raggiunto un  livello  di fotorealismo così definibile, ma è molto probabile che potremmo arrivarci in un paio d’anni o poco più. Quello che è stato interessante per noi con Detroit: Become Human è stato il riuscire ad  ottenere nuove sfumature e sottigliezze che non avremmo mai potuto ottenere in passato, soprattutto per quanto concerne il rendimento delle scene con gli attori. Abbiamo sviluppato un nuovo motore grafico, un nuovo sistema di luci, un nuovo motore per le animazioni facciali. Tutte caratteristiche che, sommate al potenziale di PS4, ci hanno permesso di catturare particolari che prima d’ora era impossibile cogliere. In particolare, ci ha permesso di realizzare alcune scene spettacolari con molte persone e sperimentare soluzioni che  prima erano impensabili.

PSC: Nel gioco si affronta un argomento molto delicato e complesso come il rapporto tra macchina e uomo. Quanto è stato difficile e quante problematiche sono sorte, durante lo sviluppo, nel trattare queste tematiche?

DC: L’idea iniziale di Detroit: Become Human era di parlare di macchine che somigliassero esattamente agli esseri umani, ma che sarebbero state trattate come oggetti. Ci siamo subito resi conto che c’era qualcosa di profondamente inquietante nel dare ordini a qualcuno che sembrava essere umano ma che in fin dei conti era semplicemente una macchina. E poi è accaduto un qualcosa di strano durante la fase di scrittura della storia: abbiamo sentito che qualcosa di incredibilmente rapido si stava evolvendo e ci siamo resi conto che stavamo trattando argomenti molto seri e profondi che rispecchiavano il nostro ruolo nella società d’oggi. Dopodiché abbiamo avuto questo tipo di discussione sulla grande responsabilità che avevamo ogni giorno in studio, su cosa fosse giusto e su cosa fosse sbagliato, specialmente quando non racconti una sola storia, ma molte storie e vuoi assicurarti che qualsiasi ramo il giocatore scelga, il messaggio che riceverà dal gioco sarà qualcosa con cui sentirsi a proprio agio. Abbiamo rimosso molte cose delle quali non eravamo completamente soddisfatti riguardo ai messaggi da trasmettere, perché alla fine della giornata quello che contava di più era creare un’esperienza molto umanistica sull’essere, sugli esseri umani e sui loro sentimenti positivi. Tutto ciò senza dimenticare, però, che ci sono molti avvenimenti oscuri e seri che accadono intorno questi personaggi, che si svegliano al mattino e pensano di meritare una vita migliore. E questa è essenzialmente la storia che volevamo raccontare.

PSC: Arte e videogiochi sono forme di comunicazione universali e assolute ed il confine che le separa non è mai stato tanto impercettibile. Da artista, quindi, qual è il messaggio che vuoi trasmettere attraverso le tue opere? Che forma ha l’impronta che Quantic Dream vuole lasciare nel mondo dei videogiochi?

DC: Beh, non so se sono un artista e non so se i videogiochi siano considerabili arte o meno. Questo è qualcosa su cui molte persone hanno opinioni diverse, non spetta a me decidere. Sto solo facendo ciò in cui credo seguendo il mio istinto e cercando di comunicare gli stessi messaggi che colpiscono sia me che il mio team e che troviamo significativi. Nello sviluppo di Detroit: Become Human la cosa più importante per noi è stata quella di creare un’esperienza densa di significati e la nostra speranza è che comunicare ciò che ha appassionato noi possa emozionare anche altre persone. Creare un’esperienza profonda e stimolante è stata  davvero la nostra priorità principale. Sarà interessante vedere che cosa ne penseranno i giocatori e capire se siamo riusciti o meno nel nostro intento.

PSC: Svestiti i panni di regista, sceneggiatore, musicista (seriamente, quanti lavori fai?!) e torni a casa la sera, cosa ti piace giocare? Quali sono i generi che David Cage sente più vicino a sé?

DC: Preferisco giocare con i miei figli perché, trascorrendo tutta  la giornata davanti a uno schermo, quando torno a casa, il mio pensiero non è quello di correre immediatamente davanti alla Tv per giocare. Di solito mi piace suonare e probabilmente è ciò che amo di più, ma anche leggere e giocare. Adoro i giochi indie, quelli di calcio, i giochi di corsa. In fin dei conti i miei gusti sono gli stessi della maggior parte delle altre persone. Non ho molto tempo per giocare per piacere personale, ma gioco molto per professione. È molto difficile quando lavori nel settore divertirti tanto quanto un giocatore normale, poiché  tendi ad analizzarlo e a notare ciò che non funziona, ad osservare cosa è stato fatto bene e cosa è stato fatto male, quindi non è esattamente un divertimento immediato. Ma anche quando lavoro su un gioco non ho molto tempo per fare altro ad essere sincero, perché è un qualcosa di  piuttosto intenso. Cerco inoltre di non guardare film perché non voglio essere influenzato. Quindi di solito mi prendo almeno un anno di pausa, staccando da tutto, in modo da essere totalmente immerso in quello che sto facendo.

PSC: Il mercato è in continua evoluzione e sempre più spesso si è quasi costretti a giungere a compromessi per accontentare una porzione più grande di giocatori. Quantic Dream sarebbe disposta a stravolgere la natura della propria visione per andare incontro alle esigenze del pubblico? Riformulando la domanda, sareste interessati a lavorare a qualcosa di totalmente diverso?

DC: Sì certo, mi piacerebbe lavorare su qualcosa di completamente diverso. Il racconto interattivo è un genere videoludico ed una delle tante forme d’interattività. Non è l’unica o la migliore e ce ne sono molte altre. Quindi ci piacerebbe certamente lavorare su qualcosa che non sia così serio e non basato sulla trama e, perché no, potrebbe accadere in studio. Per quanto riguarda invece ciò che la gente si aspetta, in molti hanno avuto a che fare con questo dilemma. Henry Ford, per fare un esempio, una volta disse: “Se avessi chiesto alla gente cosa volevano, mi avrebbero risposto: cavalli più veloci, nessuno avrebbe detto: voglio una macchina”, solo perché la macchina era un concetto che esisteva e che ha inventato. Io tendo a pensare allo stesso modo sulla creazione di videogiochi: se dai alle persone quello che vogliono e quello che si aspettano, non fai il tuo lavoro in qualità di  persona creativa. Devi sorprenderli, sorprendere te stesso, devi cercare di andare dove nessuno vuole che tu vada, perché è sempre una lotta. Devi convincere le persone che hai fatto qualcosa di diverso e che lo adoreranno. E questa è una grande sfida.

 

Detroit: Become Human è disponibile dal 25 maggio 2018, prenotalo ora sul PS Store. Leggi anche l’intervista community al Lead Writer di Quantic Dream in occasione dell’evento preview di Detroit a Milano.

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