Puppeteer: Kutaro e le forbici magiche, dal prototipo alla pubblicazione

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Puppeteer: Kutaro e le forbici magiche, dal prototipo alla pubblicazione

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Tutti i giochi sono il frutto del duro lavoro di artisti e creatori, di singole persone ricche di talento che infondono la loro passione nel gioco stesso. Tutto questo, come sa benissimo chiunque lo abbia provato, si può riscontrare nel gioco di piattaforme per PS3 Puppeteer. L’affascinante avventura di Japan Studio, infatti, è permeata di personalità, carattere e soprattutto passione.

La pubblicazione risale ormai allo scorso mese ed è quindi arrivato il momento di andare a trovare il creatore Gavin Moore nel suo ufficio di Tokyo per capire come sia riuscito a far venire alla luce un progetto così personale e stravagante e che sensazioni ha provato nel consegnarlo al pubblico dopo tre anni di duro lavoro.

Insieme a lui parleremo anche del processo creativo e potrete dare un’occhiata a immagini inedite del gioco. Un’ultima cosa: se non avete avuto ancora modo di giocarci, vi consiglio di farlo al più presto! È uno dei migliori dell’anno.

Finalmente, dopo tre anni di sviluppo, Puppeteer è nei negozi. Qual è l’emozione più forte in questo momento?
Gavin Moore: Orgoglio. Credo che sia uno di quei rari giochi che ho realizzato negli ultimi 21 anni che non potrò semplicemente dimenticare in uno scatolone in soffitta. Sicuramente finirà nella mia collezione di giochi.E sono anche molto orgoglioso del team, di quello che hanno fatto. Era un gioco difficile da portare a compimento: sul mercato siamo invasi da sequel, sparatutto e GTA di ogni tipo. Per noi è stato stimolante il fatto che la Sony ci desse la possibilità di realizzarlo ed è gratificante esserci riusciti al momento giusto, proprio prima del lancio del sistema PS4!

È difficile scrivere la parola fine? Immagino che adesso nella sua vita ci sia un vuoto a forma di Kutaro …
Gavin Moore: Solo fino a un certo punto. Quando crei un gioco, è un po’ come partorire. Lo concepisci, lo fai nascere e poi piano piano cresce, si sviluppa, fino ad assumere una vita autonoma.

Circa un anno fa era un adolescente irrequieto: si ribellava, voleva seguire la sua strada. Siamo dovuti scendere a compromessi e fare in modo che tutto funzionasse alla perfezione. Poi ha raggiunto la maggiore età ed è partito per il mondo. La sensazione è di orgoglio con una punta di tristezza.

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Che aria si respirava nel vostro ufficio quando sono cominciate ad arrivare le prime recensioni?
Gavin Moore: Le prime recensioni che sono arrivate su Metacritic erano tutte incredibilmente positive, poi però le valutazioni scendevano man mano che ne arrivavano altre negative, poi risalivano e riscendevano, e allora mi prendeva l’ansia chiedendomi quando mai sarebbero risalite.Comunque nell’insieme le recensioni sono state tutte incredibilmente positive. Ma quello che più mi interessa sono le recensioni dei giocatori: scuriosare su Twitter, vedere la gente che impazziva per Puppeteer, o sbirciare nelle bacheche.

Io personalmente ho trovato molto divertenti le citazioni e i riferimenti ad altri giochi. Come sono nati?
Gavin Moore: Il tutto è nato perché io stavo lavorando con il PDSG (Product Development Support Group) negli Stati Uniti, che ci stava dando una mano per i filmati. Sono andato a San Diego per incontrarli e ho detto “Sentite, il mio progetto è questo, però lavoriamo nel campo dei giochi, per cui divertiamoci un po’ e se avete delle idee fatemele sapere”.Loro sono rimasti sconvolti, perché lavorano nel settore dei servizi e devono semplicemente obbedire ai loro capi, senza poter apportare niente di personale. Quindi il mio discorso è stato un vero shock.

Uno di loro mi dice: “Gavin, e se mettessimo un riferimento a inFAMOUS in questo punto?” E io: “Oh beh… in effetti puntiamo a uno stile tipo Monty Python, per cui, sì, potrebbe andare”. E da quel momento le idee  sono arrivate come un fiume in piena e abbiamo cominciato a inserirle nel gioco.

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Adesso che può valutare il gioco con un certo distacco, c’è qualcosa che vorrebbe modificare?
Gavin Moore: Cambierei il livello di difficoltà, lo renderei più difficile. Credo che se potessi tornare indietro, renderei la modalità giocatore singolo tremendamente difficile, frustrante. Alla vecchia maniera, alla Ghosts ‘n’ Goblins. Oppure aggiungerei un’opzione di difficoltà maggiore in qualche modo. Però che senso ha se non si riesce ad arrivare alla fine? È una decisione difficile da prendere.

Un’altra cosa a cui io non avevo pensato sono cose tipo le sfide a tempo e le classifiche. Io pensavo che non fossero adatte a questo tipo di gioco, ma un sacco di persone dicono che sarebbe stato bellissimo se le avessimo aggiunte.

Che cosa ne avrebbe pensato suo figlio se avesse reso il gioco molto più difficile?
Gavin Moore: Avrebbe sicuramente abbandonato il controller e se ne sarebbe andato, perché diventa troppo frustrante.

Allora, va bene così com’è!
Gavin Moore: Credo proprio di sì!

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C’è un livello o una sequenza di cui si sente particolarmente orgoglioso?

Gavin Moore: La scena 1 del sesto atto. O La scena 1 del settimo atto. Mah, in realtà non saprei. Tutti gli atti! Ci sono così tante cose di cui vado fiero. Adoro il fatto che gli scontri con i boss sono alla vecchia maniera, con degli schemi da imparare. Mi piacciono tanto i personaggi, la loro diversità. Amo salire sulla schiena del drago cavalcando Mr Pink che non smette mai di chiacchierare: secondo me è una scena fantastica! Ci sono così tante cose belle e ci siamo divertiti a tal punto che è davvero difficile scegliere…

E poi è stato bellissimo giocarci con mio figlio. Finivamo una parte e lui diceva “Forte!” Poi ne affrontavamo un’altra e lui: “No, questa è la mia parte preferita!”. E man mano che andavamo avanti era un continuo: “No, no, no, questa è la mia preferita!”.

Alla fine del sesto atto io gli ho detto: “Prendiamoci una pausa, è da un bel po’ che giochiamo, però devi darmi un punteggio”. E lui mi fa “Okay: 100 su 100, è davvero forte, papà!” Poi il giorno dopo ci rigiochiamo, lo finiamo e guardiamo i riconoscimenti. Quando lui vede il suo nome nella sezione “Ringraziamenti” si mette a saltare dalla gioia. C’è da mettersi nei panni di un bambino di nove anni che vede il suo nome comparire nei riconoscimenti di un gioco! Allora io gli dico “Forza, ora che hai finito il gioco, qual è il punteggio finale?” E lui “200! C’è il mio nome nei riconoscimenti!”

La prossima volta potrebbe inserire anche i nomi dei giornalisti!
Gavin Moore: Certo! La prossima volta lo farò!

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Visto che suo figlio si è appassionato al gioco, crede che riuscirà a conquistare il Platino?
Gavin Moore: Credo che neanch’io ce la farei! Ci vogliono 58 bronzi, due argenti e un  oro. È da pazzi. Devi fare cose assurde come uccidere 1.000 larve e salvare 1.000 anime. Oppure trovare tutti i frammenti della Gemma lunare, questo è davvero difficile. Non vi diciamo dove sono nascosti.

È stato interessante vedere il vostro video del prototipo qualche settimana fa. Vi siete stupiti del risultato finale del gioco rispetto all’idea originale?
Gavin Moore: Come dicevo prima, i giochi a un certo punto assumono una vita propria e questo non è un’eccezione. Realizzammo quel video per avere il via libera per il gioco. La produzione giapponese lo vide e disse “Sarà molto dispendioso, per cui facciamolo vedere anche a Europa e America e vediamo se loro sono disposti a investire in questo progetto”. Così facemmo ed entrambi ci dissero: “Impressionante, Gavin, è un’idea stupefacente. Ma è un po’ troppo giapponese, è un prodotto di nicchia”.Ci rimasi molto male. Poi però ne parlammo insieme al team ed è a questo punto che decidemmo di mescolare le influenze occidentali che io apportavo a quelle giapponesi apportate dal team. Ma la cosa funzionò alla rovescia: io aggiungevo influenze giapponesi vista la passione che nutro per questa cultura e loro cercavano di evitare le influenze giapponesi perché le ritenevano noiose cercando di attingere invece alla cultura occidentale. E ne è venuto fuori un mix interessante.

A ben guardare, comunque, l’idea di fondo è rimasta la stessa. Era ambientato in un teatro, i movimenti erano gli stessi, c’erano le forbici, c’era un burattino e c’era un narratore. È strabiliante perché in molti altri progetti non mi è successa la stessa cosa.

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Davvero? Di tutti i giochi di cui si è occupato, questo è quello che è cambiato meno dal prototipo al gioco finale?
Gavin Moore: Senza ombra di dubbio. Sono 21 anni che lavoro in questo campo. Mi ricordo ancora l’idea originale di The Getaway: era completamente diverso. Era nato come un gioco di corse in una città e si è evoluto in una storia di gangster con una trama complessa ambientata, senza che neanche ce ne rendessimo conto, a Londra.Ho sempre saputo dentro di me che l’idea originale di Puppeteer era buona, che rappresentava qualcosa di nuovo. Mi ci è voluto un po’ per spiegarla al team, ma una volta afferrato il concetto e capito come funzionava, ci si sono buttati a capofitto.

Realizzare Puppeteer deve essere stata un’impresa. È difficile ora riorganizzare le idee e prepararsi ad affrontare il prossimo progetto?
Gavin Moore: Esattamente il contrario, è facilissimo. Ho già un’altra idea in testa, un’altra storia che mi è venuta in mente durante le conferenze stampa in Europa. Sto già lavorando ad alcuni bozzetti dei personaggi.

È molto più difficile smettere di creare che ripartire. Come vede, siamo qui, a Tokyo, al 14° piano dell’edificio della Sony e tutto lo staff è in vacanza. Ma io no! Il mio capo mi dice di continuo: “Gavin, ma quando ci vai in ferie?” Io in realtà non ne ho bisogno. Si sta bene qui e c’è una grande tranquillità. Posso pensare e riflettere su cosa devo fare.

Non vedo l’ora di ricominciare. Visto che le reazioni sono state molto positive e tante persone lo hanno apprezzato, voglio mettermi di nuovo al lavoro per farle divertire ancora. È questo che amo: fare in modo che la gente si diverta.

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